Vortex

Gaspar Noé ci regala un film apparentemente lineare che è invece uno dei lungometraggi più estremi e radicali da molti anni a questa parte.

di EMILIANO BAGLIO 19/04/2022 ARTE E SPETTACOLO
img

“La vita è un sogno” dice Françoise Lebrun a Dario Argento nella sequenza che apre Vortex di Gaspar Noé.

Un breve frammento idilliaco che chissà da dove proviene perché, di lì in poi, la vita narrata nel film tutto sarà meno che un sogno.

Alcuni giorni nella vita di un’anziana coppia.

Lui è un critico cinematografico malato di cuore che da anni (forse da sempre) ha un’altra grande storia d’amore con un’altra donna.

Lei è malata di alzheimer.

A completare il quadro il figlio della coppia, Alex Lutz con un passato da tossicodipendente ed un presente di padre con moglie malata (di mente?) al seguito.

Esaurito l’incipit Noé divide lo schermo in due per tutta la durata della pellicola.

Assistiamo ad un unico film diviso in due, oppure sono due film diversi che ne compongono uno? La domanda è lecita.

Da una parte abbiamo magari Dario Argento nel suo studio mentre Françoise Lebrun si aggira smarrita per casa. Persino quando i protagonisti sono nello stesso spazio fisico la scena viene ripresa da due diverse telecamere secondo due punti di vista diversi.

Altre volta gli attori dialogano, magari ai lati opposti di un tavolo, occupando la posizione tipica del campo controcampo che, invece di svolgersi attraverso il montaggio, si svolge orizzontalmente nella stessa scena, come se tra i due riquadri in cui è divisa la stessa ci fosse uno scarto minimo che l’occhio percepisce. Per non parlare appunto della direttrice obliqua degli sguardi degli attori in queste sequenze.

In un’epoca di visioni distratte, magari sullo schermo di un computer digitando messaggi al cellulare, Gaspar Noé costringe lo spettatore a scegliere cosa guardare con la consapevolezza che, inevitabilmente, si perderà qualcosa.

Così il racconto lineare, apparentemente banale e quasi in tempo reale delle giornate di questa coppia diviene qualcos’altro.

Le scelte estetiche sono, come sempre, scelte etiche; ancora una volta la forma è sostanza.

Perché marito e moglie abitano lo stesso spazio, un appartamento, eppure al tempo stesso, come spesso accade nella quotidianità di ognuno di noi, si sfiorano durante tutta la giornata, uno in una stanza, l’altro in un’altra.

Dividere lo schermo in due per seguire questa compenetrazione di die vita diverse nello stesso spazio, per mostrare come il punto di vista sia sempre differente, come la realtà, anche quella più quotidiana, sia complessa e sfaccettata.

Sino a quando una metà dello schermo non diventa nera a segnare l’assenza, di quella compenetrazione quotidiana.

È allora che Vortex svela la sua natura, quella di un film apparentemente lineare che invece è una delle opere cinematografiche più estreme e radicali degli ultimi anni.

Ma c’è molto altro nell’ultimo film di Noé, perfetto in ogni sua parte ed impossibile da immaginare realizzato diversamente.

Lo sguardo smarrito di Françoise Lebrun, il francese stentato di Dario Argento, la scoperta del talento drammatico di Alex Lutz, impossibile immaginare attori diversi.

Noé però si spinge oltre, mescolando la propria biografia e quella di Dario Argento alla finzione.

Così l’intera vicenda prende spunto dal lutto familiare che ha colpito il regista, Dario Argento interpreta un critico cinematografico, lavoro che svolse ad inizio carriera in un cortocircuito continuo tra finzione e realtà.

La casa dove vivono i due straborda di oggetti di cinema, libri, videocassette, locandine. Un antro/rifugio in cui crediamo che Noé abbia messo molto di suo.

Dario Argento, in un dialogo, parla del destino che volteggia sulla città e sceglie a caso le famiglie da colpire con la malattia ed il dialogo richiama quell’idea del male che aleggia sulla città che era alla base di Inferno.

Costringere lo spettatore a scegliere cosa guardare, segnalare quella quotidiana compresenza ed estraneità della coppia attraverso la divisione dello schermo, confondere il piano diegetico con quello extradiegetico, abolire il montaggio e riproporlo plasticamente in orizzontale sullo schermo.

Ed infine non avere pudore né limiti in un film pornografico che non si ferma davanti a nulla.

Vortex mostra la malattia, la sofferenza ed infine persino la morte in modo brutale in sequenze volutamente lunghe, pornografiche appunto, ed insistite che alle volte si caricano di tensione.

Insomma non è certo casuale che un film così radicale non abbia ancora una distribuzione degna di questo nome nel nostro paese.

Singole sale lo stanno proiettando contattando direttamente il produttore del film e chissà che questo non possa generare nuove dinamiche distributive per il futuro.

Lo speriamo vivamente, ci auguriamo che tutti quelli che ancora amano il cinema possano vedere Vortex perché sì, il sonno della ragione genera ancora mostri.

EMILIANO BAGLIO


Tags:




Ti potrebbero interessare

Speciali